In Galleria Nazionale si parla di tecnica dell’affresco e arte del restauro

La tecnica dell’affresco è la più nobile e la più ardua, riservata solo ai pittori più bravi. Questo è ciò che pensava Cennino Cennini, pittore e teorico dell’arte, noto soprattutto per aver scritto il Libro dell’arte, uno dei più importanti trattati sulla pittura italiana, e lettura obbligata per chiunque si occupi di restauro di opere d’arte antiche. In esso sono contenute informazioni su pigmenti e pennelli, sulle tecniche pittoriche dell’affresco e della miniatura, oltre a numerosi consigli e trucchi del mestiere.

Libro dell'arte Cennino Cennini
Fonte: letteraturaartistica.blogspot.com

Le parole di Cennini sono state anche quelle che hanno inaugurato la conferenza di ieri in Galleria Nazionale, intitolata “Affreschi staccati” e presieduta dalla restauratrice parmigiana Ines Agostinelli. Un’occasione per acquisire importanti informazioni sulla tecnica dell’affresco, sull’arte del restauro e le pratiche dello “stacco” e dello “strappo”, sui motivi che hanno spinto (e tuttora spingono) gli uomini a rimuovere gli affreschi dalle loro sedi originarie.

Scalone Pilotta Galleria Nazionale
Fonte: wikipedia.org

Ma vediamo di fare un po’ di chiarezza per chiunque fosse digiuno di queste nozioni.

L’affresco è una tecnica pittorica che consiste nell’applicare pigmenti, di solito di origine minerale, direttamente sull’intonaco ancora fresco. Esso, durante il processo di carbonatazione (cioè asciugandosi), ingloba il colore, che in questo modo acquisisce una notevole resistenza all’acqua e al tempo.

pigmenti blogferretticasa.comUna curiosità: i pigmenti utilizzati per realizzare gli affreschi erano sostanze povere, estraibili da rocce e minerali comuni. Tuttavia vi era un particolare pigmento, il blu, che poteva essere estratto solo dai lapislazzuli, pietre rare e preziose. Era quindi possibile dedurre la disponibilità economica di un committente dalla presenza o meno del blu negli affreschi.

La grande difficoltà di questa tecnica è data da due fattori: primo, non è consentito commettere errori o avere ripensamenti: una volta lasciato un segno di colore, questo viene immediatamente assorbito dall’intonaco. Secondo, l’intonaco bagnato modifica la tonalità del colore, quindi occorre prevedere come sarà il colore una volta asciutto e agire di conseguenza. Anche se è possibile effettuare delle prove su pietra pomice, è comunque molto difficile dosare i pigmenti per ottenere la tonalità voluta.

Passaggi realizzazione affresco
Fonte: corsiarteecreazioni.altervista.org

Data la grandissima difficoltà nella realizzazione, e considerato che nel Rinascimento le composizioni ad affresco si fecero via via sempre più complesse, i pittori cominciarono a servirsi di svariate tecniche preparatorie prima di applicare effettivamente il colore. Una di queste era la tecnica dello spolvero, che consisteva nel realizzare il dipinto su carta, effettuare poi dei piccoli forellini lungo i contorni delle figure sul foglio e, appoggiandolo sulla parete, far scendere della sabbia in modo che questa si appiccicasse all’intonaco fresco.

Sebbene gli affreschi siano, come abbiamo detto, molto più resistenti di altre forme pittoriche ai deterioramenti atmosferici e all’influsso del tempo, tuttavia essi possono danneggiarsi, anche gravemente. Le cause principali sono l’umidità, la pioggia e altre cause naturali (come i terremoti), ma ve ne sono anche altre, meno scontate: gli errori nell’affrescatura, ad esempio, o le stesse operazioni di restauro e “manutenzione”.

Gli affreschi del Parmigianino nella saletta di Diana e Atteone a Fontanellato ad esempio sono stati ritrovati in un pessimo stato di conservazione, ma non per danni atmosferici o incuria da parte dei Sanvitale prima, e della Soprintendenza poi: è stato dimostrato che fu il Parmigianino stesso a sbagliare la composizione dell’intonachino, causando quindi il suo distacco prematuro dalla parete.

Fonte: artenet.it
Fonte: artenet.it

A volte è l’opera di inesperti restauratori (che utilizzano prodotti troppo acidi) a causare danni irrimediabili alle decorazioni, mentre altre volte sono i proprietari della struttura contenente l’opera a compiere incaute operazioni di manutenzione: non è raro infatti incappare in frati che, per togliere le ragnatele, strofinano scope su pareti e soffitti affrescati.

Il restauro di opere antiche è un’arte che va saputa padroneggiare alla perfezione se non si vogliono fare danni; l’opera di restauro va realizzata con un atteggiamento di estrema umiltà e realismo, non con ambizione. La dottoressa Agostinelli ci avverte: pensare di riportare all’antico splendore un affresco di 500 anni fa con un restauro, è come pensare di far tornare bella una donna di 80 anni con un lifting.

Gli interventi quindi, più che direttamente sul dipinto, vanno compiuti sul microclima, portando la stanza a livelli di calore e umidità ottimali, cercando di eliminare tutte le possibili cause di umidità. Solo in un secondo momento si potrà procedere con le “iniezioni” di malte naturali, ed eventualmente con operazioni di impregnazione, velinatura e integrazione pittorica.

Fonte: tournapoli.it
Fonte: tournapoli.it

Il tutto ricordando sempre la regola fondamentale del restauratore: un restauro deve essere invisibile da lontano, in modo da restituire la visione d’insieme dell’opera, ma perfettamente visibile da vicino, per non trarre in inganno il critico d’arte che si appresta a studiare l’opera.

A volte però succede che non si voglia ricostruire l’affresco, ma direttamente prelevarlo. Lo strappo, lo stacco e lo stacco a massello sono tre tecniche di asportazione che riguardano, rispettivamente, la pellicola, l’intonaco e l’intero pezzo di muratura su cui risiede l’affresco.

In tutti i casi si tratta di operazioni complesse e pericolose, ma mentre lo stacco e lo stacco a massello sono tecniche poco invasive, lo strappo, dal momento che riguarda lo strato più superficiale dell’affresco, è oggi considerato deontologicamente “scorretto”: è facile infatti che, nella rimozione della pellicola, rimanga sulla parete buona parte della colorazione, che quindi deve essere sottoposta a uno (o più) successivi “strappi”. Ciò compromette inevitabilmente la qualità dell’opera, anche se essa viene poi ricostruita in laboratorio.

Ma perché quindi si “staccano” e si “strappano” gli affreschi? Essenzialmente per collezionismo: c’è stato un periodo, dagli anni Cinquanta agli Ottanta, in cui la tecnica dello strappo veniva utilizzata in maniera indiscriminata e addirittura favorita dalle Soprintendenze, spesso con motivazioni discutibili.

Oggi la situazione si è normalizzata: le operazioni di rimozione vengono effettuate soprattutto in caso di edifici pericolanti, quando si tratta di salvare l’opera da una possibile e irrimediabile perdita.

 

Per la realizzazione di questo articolo, ringraziamo la Dott.sa Ines Agostinelli, la Galleria Nazionale di Parma, La Soprintendenza per i beni storici, artistici ed etnoantropologici per le province di Parma e Piacenza e il Ministero per i Beni e le Attività Culturali.

Di seguito riportiamo le immagini esclusive di alcuni affreschi del Correggio asportati dalle loro originarie sedi e ora conservati in Galleria Nazionale:

Affresco del Correggio asportato

Affresco del Correggio in Galleria Nazionale

Affresco del Correggio in Galleria Nazionale

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